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1° Principio del Coaching Umanistico: IL PUNTO DI FORZA

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Definiamo Principio un approccio metodologico caratterizzante la qualità fondamentale di un oggetto a tal punto che l’infrazione del principio cambia l’essenza dell’oggetto a cui si riferisce. In poche parole, se non rispettate il Principio non siete dei Coach, almeno in senso umanista.

Il Principio del Punto di Forza stabilisce che lo scopo del Coaching Umanistico è individuare quali sono le Potenzialità della persona e allenarle per la realizzazione dei cambiamenti e degli obiettivi desiderati. Le potenzialità sono caratteristiche, abilità, capacità, valori e talenti in grado di raggiungere risultati straordinari e rendere felice la persona che li esprime. Nel corso studieremo come possano essere represse oppure valorizzate. Impareremo a riconoscerle e a usarle insieme al cliente o all’organizzazione per la quale lavoriamo. Le fonti che disponiamo per capire le potenzialità umane sono scientifiche, filosofiche, tecniche e professionali. Ma sono anche rintracciabili nella vita di ognuno di noi e in coloro che hanno sviluppato straordinari talenti.
Non esistono esseri umani perfetti. Ma solo perfettibili. Qualunque grande talento, nell’arte, nello sport, nella scienza, nella vita, è sempre stato strapieno di difetti. Tutti in un modo o nell’altro combattono battaglie interiori, cercando di non farsi sopraffare dalle proprie fragilità. Ma il talento è frutto della massimizzazione di 1 o 2 potenzialità, la cui espressione motiva, gratifica e permette traguardi insperati, nonostante le debolezze.
Certo ci vogliono maestri, visioni, motivazioni, routine, esercizi e obiettivi, senza i quali le potenzialità rimangono allo stato latente. Ma le potenzialità, ovvero il Principio di partire dai Punti di Forza, guidano l’intero processo di apprendimento/allenamento.

Prendiamo il caso di un genio straordinario di nome Enrico Fermi (1901-1954).

Alla base della sua opera nel campo della fisica, c’era una vocazione precoce per i misteri della natura e gli esperimenti per scoprirli. Sin da bambino, con il fratello, divorava libri di scienza, faceva esperimenti, costruiva marchingegni, come Dustin di Stranger Things. Nonostante i suoi insegnanti non lo considerassero particolarmente dotato, la sua passione per la scienza e la matematica era già radicata nell’adolescenza. Suo ispiratore fu Guglielmo Marconi, ma il suo primo insegnante fu un ingegnere, Adolfo Amedei, amico del papà, che faceva il funzionario nelle Ferrovie dello Stato. Fu lui durante il liceo a fornirgli una preparazione completa in geometria e fisica, che a Scuola non avrebbe mai potuto apprendere. E’ come se un genitore, vedendo che suo figlio adolescente va male in matematica e adora la letteratura, spendesse i suoi soldi per corsi di scrittura creativa invece che per le ripetizioni in matematica. Questa apparente follia è stata la fortuna di Enrico. Amedei, cogliendo la passione del ragazzo, lo mise sotto la sua ala per anni. Enrico lo ripagava studiando metodicamente tutto ciò che il vecchio ingegnere gli insegnava. Adorava passeggiare con un suo amico per le viuzze del centro di Roma, per andare a rovistare fra le bancarelle dei libri usati e scovare tomi di fisica, scienza, matematica e algebra, che portava al suo mentore per commentarli insieme. Sin dall’università, imparò a studiare in modo sistematico. La conoscenza profonda e sistemica di un campo non può che essere metodica. Con la sua calligrafia minuta, compilava taccuini, li catalogava per argomenti, redigeva cartelle ben organizzate, che chiamava la sua “memoria meccanica”. Negli archivi oggi ci sono almeno una trentina di volumi con migliaia di pagine dei suoi appunti. Questo approccio metodico lo caratterizzò anche nel lavoro di ricerca dopo l’università.
Chiunque ha traguardi ambiziosi, deve darsi una routine per calibrare il massimo impegno con il necessario recupero. Fermi si svegliava alle 5 del mattino, in vestaglia andava nello studio di casa a lavorare per due ore al problema del momento, alle 8 faceva colazione quindi andava nel laboratorio di via Panisperna. La mattina la dedicava alla ricerca. Poi andava a pranzare e giocare a tennis. La pausa del pranzo era sacra. Anche nel 1942, durante la messa in moto del primo reattore nucleare, impose di interrompere il lavoro per mangiare con calma. Era il momento di recupero nella giornata, quello che permette di ritemprarsi. Il pomeriggio continuava il lavoro di ricerca o organizzava incontri e seminari con studenti e colleghi. Entro le 22 dormiva esausto. Nei giorni liberi, amava divertirsi facendo sport: sci, tennis, nuoto, arrampicate, passeggiate in montagna, insieme agli amici, guidandoli e spesso sfidandoli. Adorava essere primo negli sport di resistenza. Anche nel divertimento, allenava l’impegno.
Fermi riuscì, grazie a numerosi maestri e mentori, a usare un solo punto di forza per dare un contributo storico decisivo alla Fisica. Questo punto di forza era l’amore per il sapere, una potenzialità che per essere sviluppata richiede metodo, costanza, esercizio, routine. Fermi studiò in modo sistematico ogni aspetto della fisica, costruendo in decenni una cultura enciclopedica su ogni branca della materia. Usò questa potenzialità nella ricerca, nell’insegnamento e nella costruzione della leadership prima nel laboratorio di via Panisperna, poi a Chicago. L’amore per il sapere si divide in amore per l’apprendimento e l’amore per l’insegnamento. Fermi sapeva che per fare scoperte non c’erano scorciatoie. L’intuizione, il lampo di genio, l’eureka sgorga dopo un lunghissimo lavorio preparatorio. Sboccia improvvisa fra i sentieri delle complesse architetture delle rappresentazioni mentali, costruite con cura, lentezza, impegno e un allenamento spesso noioso e frustrante. Fu il solido fondamento della sua conoscenza, del suo studio sistematico, della sua costanza a fornirgli intuizioni per la soluzione di problemi complessi: il decadimento beta, le interazioni forti e deboli, le statistiche di Fermi-Dirac, la fisica computazionale e poi il reattore nucleare e le ricerche durante la Seconda Guerra Mondiale contro il nazismo. La sua metodicità era funzionale a delimitare i problemi, eliminare tutti i fattori irrilevanti, concentrarsi sull’essenziale, essendo sempre lento e costante, senza accelerare i calcoli nemmeno quando erano semplici. Uno studio che non era mai individuale. Era sempre in contatto con maestri e mentori di ogni paese e con colleghi e studenti con cui condivideva le sue scoperte, convinzioni, creazioni. Questa condivisione che diventava insegnamento era una verifica essenziale del suo stesso apprendimento: se non riusciva a rendere chiaro un argomento, a insegnarlo, a renderlo appetibile anche quando era astruso, aveva l’impressione di non averlo capito abbastanza.
Sia a Roma che in America con gli studenti fu sempre discreto, brillante, ispiratore, disponibile, sicuro. Con i colleghi fu sempre un esempio sul campo e grazie al suo amore per il sapere riuscì a costruire una complessa organizzazione di ricerca negli Stati Uniti sul modello di quello che aveva costruito a Roma. Fermi vinse un premio Nobel, influenzò la ricerca in fisica per decenni (la scoperta del bosone di Higgs deriva dai suoi studi) e formò centinaia di studenti di cui ben 7 vinsero il premio Nobel, nelle materie che lui aveva insegnato. Non è questa la sede per riflette sul lascito di Fermi o sulla dimensione umanistica delle sue scelte.
Come dimostra la più amplia bibliografia del fisico italiano (si veda L’ultimo uomo che sapeva tutto di David N. Schwartz), Fermi basò l’intera sua opera su una sua sola potenzialità: l’amore per il sapere nel campo di studio che adorava. Grazie a questa potenzialità allenata a livello di talento, fece scoperte straordinarie, costruì laboratori d’avanguardia, organizzò equipe di ricercatori efficaci e vincenti e formò altri fisici premi Nobel.

Invece di dannarci per le nostre debolezze, ognuno di noi dovrebbe comprendere quali sono le sue potenzialità. In ognuno di noi c’è un talento che aspetta di essere allenato. Scopo del Coach è comprendere insieme al cliente quale è.

24 Lug, 19